venerdì 2 maggio 2008

IL CAPO


E' sufficiente il titolo che si ricopre per definirsi un buon capo? Potete riconoscere con sicurezza, fin dai suoi primi gesti, fin dalle sue prime azioni, senza timore di sbagliare, se una certa persona governerà in modo dispotico, disprezzando ogni merito e ogni valore.
Osservate come sceglie i collaboratori a cui affida i compiti più importanti e riservati.
Il capo, che desidera veder prosperare la sua organizzazione in un clima di collaborazione e di armonia, sceglie le persone di valore, oneste, creative, dotate di autonomia di giudizio.
Lo stato maggiore delle grandi imprese di successo è formato, di solito, da manager di prim'ordine, ciascuno dei quali, in caso di necessità, può sostituire il capo supremo e addirittura prenderne il posto.
E, sebbene le decisioni spettino sempre al capo, egli normalmente le discute con loro nel comitato di direzione.

Invece il comportamento del despota è completamente diverso. Anche lui usa collaboratori di valore, perché senza di loro, l'organizzazione non potrebbe funzionare.
Però per i compiti più importanti, più delicati e più sporchi, usa esclusivamente un gruppo di personaggi fedelissimi, di solito mediocri, privi di qualità intellettuali e morali, ma che gli ubbidiscono ciecamente.
Hitler ha lasciato ai loro posti i generali delle forze armate, la Wehrmacht, ma li ha messi sotto il controllo dei suoi compagni di partito, Goebbels, Himmler, Goering e delle milizie speciali, le SS, che rispondevano solo a lui.
Milizie in cui venivano reclutati giovani ambiziosi, spregiudicati, aggressivi e pieni di odio.
Anche Stalin lascia al loro posto alcuni grandi funzionari statali e generali della Armata rossa. Ma sotto il tallone dei suoi commissari politici e della polizia segreta.

Non dobbiamo pensare però che questi metodi siano limitati alla politica o ai regimi totalitari.
Su scala più modesta vengono applicati anche nelle imprese pubbliche e private.

Il despota, il personaggio che usa l'organizzazione per i suoi scopi personali, governa con una cricca formata da personaggi squallidi, privi di moralità, che dipendono ciecamente da lui.
Mentre i funzionari che mandano avanti l'organizzazione, soprattutto quelli più preparati e onesti, vengono tenuti all'oscuro delle decisioni più importanti e, spesso, umiliati e minacciati. 
Un buon capo deve assommare diversi tratti per riuscire a garantire efficienza e benessere sul luogo di lavoro. Ma agli occhi dei sottoposti, quello che il leader sbaglia di più e più frequentemente è proprio il modo in cui decide di imporsi, di esprimere i propri bisogni senza violare i diritti degli altri. D'altra parte la giusta capacità di imporsi non è una caratteristica chiaramente identificabile. Anzi, meno la si nota, meglio è: significa che funziona come dovrebbe. Un po' come il sale nella salsa. Quando ce n'è troppo o troppo poco, non si riesce a notare niente altro. Quando è giusto, risaltano tutti gli altri elementi. L'assertività diventa però un problema se vira verso un estremo o un altro. Da un lato, l'incapacità di imporsi crea un "corto circuito" nel leader, che non riesce a realizzare gli obiettivi che si è prefisso e a raggiungere risultati. All'opposto, un capo troppo assertivo diventa insopportabile, rischio certamente da non sottovalutare. Anche se per un certo periodo riesce a ottenere quello che vuole, alla lunga i costi sociali cominciano a farsi sentire con conseguenze gravi sui risultati.

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